Diritti e libertà nella Costituzione Diritti civili e diritto penale Anticorruzione

La legge Severino sull’incandidabilità a cariche politiche, il ricorso di Berlusconi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la grande ipocrisia finale.

Il Senato della Repubblica

E’ stata vana l’attesa della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla legittimità o meno dell’incandidabilità di Berlusconi a cariche politiche in applicazione della Legge Severino. Questa sentenza non sarà mai pronunciata perché l’interessato ha rinunciato al ricorso con il quale aveva impugnato il provvedimento di incandidabilità censurando l’applicazione retroattiva della legge. Egli si era detto certo che la sentenza gli sarebbe stata favorevole, tuttavia al momento decisivo ha battuto in ritirata. Un leader politico che si rispetti deve andare fino in fondo alle questioni che, se pur riguardano formalmente solo lui, in realtà pongono un problema di diritti e di libertà costituzionali di grande importanza e perciò, specie dopo un animato dibattito pubblico, di generale interesse.

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Di recente Berlusconi ha fatto sapere di avere rinunciato al ricorso avverso il provvedimento che, in applicazione della legge Severino, lo dichiarava decaduto da parlamentare ed incandidabile a cariche politiche. Per effetto di tale rinuncia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, alla quale il ricorso era stato presentato nel 2014, non pronuncerà alcuna sentenza nei suoi confronti né favorevole né sfavorevole. Insomma il caso viene archiviato senza alcuna decisione.

Ricordo che la legge Severino è quella legge facente parte del pacchetto normativo anticorruzione del 2012 (governo Monti) in base alla quale una sentenza di condanna per certi reati (nel caso di specie, frode fiscale) è sufficiente per provocare la decadenza del cittadino condannato da cariche politiche e la sua incandidabilità a cariche successive. La principale obiezione mossa dai critici di tale normativa, invero con un certo fondamento, sta nel fatto che la legge Severino è stata applicata con efficacia retroattiva nel senso che la decadenza e l’incandidabilità di Berlusconi sono state pronunciate nonostante si trattasse di reati da lui commessi prima della entrata in vigore di tale legge.  In questo modo, sempre secondo gli stessi critici,  si viola il principio di cui all’art. 25 della Costituzione in base al quale le leggi che recano nuove sanzioni – tali sarebbero decadenza ed incandidabilità –  si applicano solo per il futuro e non possono riguardare fatti antecedenti alla loro emanazione ovvero, in altri termini, avere efficacia retroattiva.

Sicuramente l’obiezione, a prescindere se condivisibile o meno, era molto seria e con una certa dose di fumus boni iuris. Ne derivò un enorme ed animato dibattito non solo di tipo giuridico ma anche politico sicché tutti i media, ad ogni livello, furono per molto tempo occupati intensamente da tale questione (anni 2013-2014 e oltre). L’interessato eccepì soprattutto, ed in modo strenuo, che la pronunciata incandidabilità della sua persona quale leader politico, avrebbe alterato in senso sfavorevole sia la campagna elettorale sia il risultato elettorale.

In effetti la controversia era molto importante perché di mezzo c’erano i diritti politici di un cittadino, peraltro leader politico, cioè la possibilità che venisse compromessa la sua libertà di candidarsi ad organi elettivi dello Stato e perciò, in ultima analisi, la compromissione della piena partecipazione alla vita politica e democratica del Paese. Senza contare, come ribadito dall’interessato, la possibile alterazione di campagna ed esito elettorali.

La questione fu decisa in Parlamento dalla maggioranza politica dell’epoca (2013/2014 Governo Monti e poi Letta) nel senso che, dopo lunghe ed animate discussioni sia in commissione che in aula, prevalse la tesi per cui la legge Severino non introduceva nuove norme penali soggette ad irretroattività bensì introduceva la regola secondo cui una condanna penale per frode fiscale faceva venire meno un requisito, per così dire, “amministrativo” di idoneità a ricoprire cariche pubbliche. Con la conseguenza che il venire meno di un requisito di idoneità non poteva che applicarsi immediatamente per evitare effetti pregiudizievoli immediati quali, nel caso di specie, l’inquinamento delle liste elettorali. Dunque, nessuna pertinenza aveva, secondo tale tesi, la questione della irretroattività.

Avverso la decisione del Parlamento (favorevoli all’incandidabilità furono Pd, M5S e Sell, contrari Forza Italia, Gal, Nuovo Centrodestra e Lega) Berlusconi ricorse alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per ottenere la condanna dello Stato Italiano che aveva violato gravemente la sua libertà politica di cittadino e, in conseguenza, falsato la competizione elettorale. Affiancò a tale ricorso pubbliche e frequenti affermazioni di certezza dell’esito favorevole presso la Corte Europea prospettando l’ ingiustizia degli esiti delle campagne  elettorali che nel frattempo lo vedevano incandidabile.

Il Palazzo sede della Corte Europea dei diritti dell’uomo

Ora che la Corte di Strasburgo, a distanza di anni  fissa,  dopo vari rinvii l’udienza per la decisone, si apprende che Berlusconi rinuncia al ricorso, il che significa che una sentenza del Giudice Europeo sulla questione sollevata non ci sarà mai. Questo tipo di processo funziona infatti ad impulso degli interessati.

Se così stanno le cose, dove sta la grande ipocrisia di cui al titolo di questo scritto?

Sta nel fatto, a mio avviso, che nelle dichiarazioni pubbliche di Berlusconi e del suo entourage (per ultimo vedi On.le Gelmini a Radio 24 del 28.11.2018 – intervista Latella – Giannino) si sostiene che la rinuncia al ricorso viene fatta, pur nella certezza (a loro dire) che la sentenza sarebbe stata favorevole (!!), per evitare ulteriori lacerazioni nel dibattito pubblico italiano, e quindi, si dice, “nell’interesse generale del paese”. Poi si aggiunge che Berlusconi non ha più interesse alla sentenza essendo stato nel frattempo riabilitato e quindi potendosi ora candidare.

E’ facile obbiettare che normalmente si rinuncia ad una sentenza solo quando si hanno serie prospettive che sia sfavorevole e cioè contraria alla proprie tesi. E’ altrettanto facile obbiettare che chi rinuncia a contestare una tesi opposta alla sua, implicitamente ne ammette la fondatezza e si acquieta.

Inoltre, data l’importanza che la questione aveva sollevato in termini di possibile violazione dei diritti politici e la conseguente attesa di una parola definitiva ed autorevole sulla vicenda, non può ora Berlusconi venire e dire che essendo stato riabilitato non ha più interesse alla definizione della causa.  Gli interessi di un   capo politico che si rispetti vanno oltre quelli personali o di un comune cittadino dovendo egli fare riferimento all’interesse generale dei cittadini che avevano diritto di sapere, da un’Autorità terza, sovraordinata ed autorevole come la Corte Europea, quale dei due contrapposti princìpi fosse quello giusto. E ciò anche per capire se la competizione elettorale era stata ingiustamente compromessa ed avere un precedente che per il futuro possa orientare  su quale sia la giusta via da seguire.

A noi, tormentati dal dubbio per tutti questi anni non essendoci lasciati andare al tifo di parte o ad interpretazioni sbrigative, ed essendo le due opposte tesi entrambe sostenibili, il dubbio rimarrà. In compenso ci viene confermata una certezza: che Berlusconi sa fare bene i fatti suoi come colui che, sapendo di perdere, batte in ritirata.

Avv. Ernesto Mancini – Verona 13 gennaio 2019

P.S.: la vicenda mette in evidenza un ulteriore grave aspetto. Trattandosi di controversia di mero diritto e cioè che non richiede particolari approfondimenti istruttori su fatti, prove e circostanze, è inammissibile che siano passati tutti questi anni per fissare l’udienza di decisione. La lentezza della “magistratura europea” non ha niente da invidiare a quella italiana.

 

 

Pubblicato il: 13 Gennaio 2019

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