Diritti e libertà nella Costituzione Pubblica Amministrazione in generale Rapporto di lavoro pubblico Anticorruzione

Una proposta indecente: l’agente provocatore all’interno della Pubblica Amministrazione ed il test di integrità per il funzionario pubblico.

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Da qualche tempo vengono annunciate da parte di alcuni esponenti politici proposte di legge per introdurre nell’ordinamento penale italiano la figura dell’agente provocatore all’interno della Pubblica Amministrazione quale strumento di lotta alla corruzione[i]. L’agente provocatore è un ufficiale di polizia giudiziaria che si infiltrerebbe nella pubblica amministrazione sotto mentite spoglie per verificare la corruttibilità o meno di un funzionario pubblico promettendogli denaro od altra utilità (la c.d. “tangente”) in cambio di un provvedimento di favore relativamente ad appalti, autorizzazioni, concessioni ed altri atti amministrativi, sovente di notevole rilievo economico.

Va notato che per l’introduzione dell’agente provocatore nella Pubblica Amministrazione si sono mossi anche personaggi non politici molto autorevoli quali, ad esempio, i magistrati Pier Camillo Davigo e Nicola Gratteri che, pubblicamente, hanno definito tale strumento come essenziale per la lotta alla corruzione criticando anche in modo significativo chi vi si oppone. In effetti si tratta di magistrati-simbolo per la lotta alla corruzione ed al malaffare e che per ciò stesso hanno particolare seguito nell’opinione pubblica molto sensibile al tema. Anche il magistrato Raffaele Cantone, attualmente presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, si è espresso in senso favorevole all’introduzione di tale istituto. [ii]

Il Giudice Davigo, in particolare, ha auspicato il c.d. “test di integrità” cui sottoporre i pubblici funzionari inconsapevoli da parte dell’agente provocatore al fine di saggiarne la corruttibilità o meno. A dire del magistrato, si tratterebbe di una misura preventiva in quanto la sola possibilità di un tale controllo dovrebbe scoraggiare il compimento di atti corruttivi da parte dei funzionari perché essi, in ogni momento di interlocuzione con cittadini od imprenditori, saprebbero di potersi trovare invece di fronte ad un ufficiale di polizia giudiziaria che potrebbe incastrarli.

Pier Camillo Davigo

gratteri

Nicola Gratteri

A nostro avviso la proposta dell’agente provocatore all’interno della Pubblica Amministrazione è antistorica, presenta gravi profili di illegittimità costituzionale nonché di scorrettezza verso la funzione pubblica amministrativa e la dignità dei lavoratori pubblici.  Essa va perciò respinta. Vediamo in dettaglio perché.

In primo luogo vi è da dire che la Suprema Corte di Cassazione ha già avuto modo di chiarire che in tema di attività sotto copertura, va distinta la figura dell'”agente infiltrato” da quella dell'”agente provocatore”. Il primo, la cui condotta è legittima a certe condizioni, è un appartenente alle forze di polizia……che agisce in modo controllato nell’ambito di un’attività di indagine ufficiale e autorizzata con finalità di osservazione e contenimento di condotte criminose che, in base a sospetti, si suppone che altri soggetti siano in procinto di compiere. L’agente provocatore, invece, è soggetto che, pur appartenente alle forze di polizia, al di fuori di un’indagine ufficialmente autorizzata, determina altri alla commissione di reati che, senza la sua azione, non sarebbero stati commessi…… la sua attività non è consentita e, oltre a determinare la responsabilità penale dell’infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l’inutilizzabilità della prova acquisita (art. 191 c.p.p.) e rende l’intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell’art. 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. (in questi termini Cassazione penale sez. III 07/04/2011n. 17199)

Peraltro,  mentre non è ammessa in alcun caso l’attività del provocatore, tanto è vero che tale figura potrà introdursi solo se passa la proposta di legge,  va detto che l’attività dell’infiltrato “non provocatore”  è ammessa solo a condizione che riguardi l’osservazione ed il contenimento di condotte criminose relative a reati   tassativamente previsti dall’art. 9 della legge 146/2006 nel nuovo testo di cui alla legge 136/2010 cioè di reati che riguardano soprattutto la criminalità organizzata quali i delitti di sequestro di persona , riciclaggio, delitti previsti dal testo unico per la disciplina di stupefacenti, delitti di terrorismo ed eversione contro o Stato, ed altri delitti tipici della criminalità organizzata.

Una prima critica perciò è la seguente: l’introduzione della figura dell’agente provocatore all’interno della Pubblica amministrazione di fatto equipara tale apparato pubblico ad una organizzazione criminale perché prevede lo stesso strumento di indagine sotto copertura riservato con le norme speciali ora richiamate alle attività criminose organizzate da bande e gruppi di criminali. Per quanto siano frequenti e, in alcuni casi, clamorosi i casi di corruzione e per quanto si possa aderire acriticamente ai luoghi comuni diffusi a piene mani dai mass-media sulla corruttibilità della classe dirigente del nostro paese, nessuno può seriamente dire che la Pubblica Amministrazione è costituita da una banda di criminali o sia organizzata a fini criminali.

Come se non bastasse la proposta va ben oltre l’agente “infiltrato” (già oggi di per sé intollerabile all’interno di pubblici uffici secondo la citata normativa) spingendosi a introdurre addirittura l’agente “provocatore” cioè un soggetto che è chiamato a determinare altri a commettere reati, a saggiare la corruttibilità di funzionari inconsapevoli e per i quali non necessariamente vi sono elementi di sospetto o comportamenti a rischio. Ciò favorirebbe l’involuzione da uno stato di diritto ad uno stato di polizia perché quest’ultimo è caratterizzato da “poteri estesi ed ingiustificati”  di controllo e spionaggio nei confronti di soggetti del tutto estranei alle attività criminali. Lo Stato di Polizia, per definizione, è il contrario della Stato di Diritto.

Tutto ciò senza contare che il perseguimento dei reati di corruzione ha già dato notevoli risultati attraverso altri strumenti di indagine previsti dall’ordinamento, sia pure in alcune situazioni al limite estremo della legittimità,  quali intercettazioni, microspie ambientali sull’attività dei sospettati e, come nei casi più clamorosi, attraverso la collaborazione delle vittime di concussione che permettono, mediante  la consegna sorvegliata e tracciata  della tangente, di incastrare con piena prova il delinquente sospetto cui è affidato un pubblico ufficio. Si tratta di strumenti già efficaci che pur sacrificando diritti primari quali la riservatezza, la libertà di comunicazione o quella epistolare oggi possono essere accettati sia pure con molte riserve e sempre che non sconfinino nell’abuso o nell’arbitrio.

Inoltre va detto che il test di integrità del funzionario pubblico è quanto di più offensivo ed illegale possa esservi nei confronti delle migliaia di funzionari i quali, va ricordato, oltre che pubblici ufficiali sono anche lavoratori. La loro dignità, in assenza di sospetti fondati e solo per saggiarne la incorruttibilità, va perciò rispettata ai sensi della dello Statuto dei lavoratori di cui alla legge 300/70 che ad ogni passo difende tale dignità e, ancor prima, ai sensi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che all’art. 12 impone che “nessuno può essere oggetto di ingerenze arbitrarie ….  né di lesioni al suo onore ed alla sua reputazione sicchè ogni persona ha diritto alla protezione della legge contro simili ingerenze e lesioni”.

Ancora. Accettando l’introduzione dell’agente provocatore si sovverte la regola fondamentale vigente da qualche migliaio di anni nel mondo del diritto per cui “bona fides presumitur mala demostratur”. Saggiare l’integrità del funzionario inconsapevole senza che vi siano seri sospetti di corruttela significherebbe presumerne la mala fede ed onerare l’interessato a dimostrare la sua buona fede.  Se vi sono seri e fondati sospetti le cose staranno diversamente ma in mancanza di tale presupposto, ogni provvedimento che disponga il test darebbe un colpo micidiale alle libertà e ai diritti del nostro paese così come sanciti dalle anzidette regole fondamentali dei rapporti tra Stato e cittadini e tra Stato e funzionari/lavoratori pubblici.

Dunque, delle due l’una. Se ci sono seri e fondati motivi di sospetto può procedersi con gli strumenti ordinari ed efficaci già a disposizione della magistratura e delle forze di polizia. Se non ve ne sono il test di integrità risulta contrario ai principi minimi dello stato di diritto ed avvia il nostro ordinamento ad una fase di inaccettabile illegalità poliziesca.

La tenuta dello Stato di diritto ha dei costi tra i quali, primo fra tutti, il costo di non potere utilizzare strumenti illegali per garantire la legalità.

cantone

Raffaele Cantone

 

 

 

Pubblicato il: 22 Aprile 2016

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